
Perché finiamo sempre con la persona sbagliata (e come smettere di farlo)
Ti è mai capitato di guardarti indietro, magari con il cuore a pezzi, e chiederti:
“Ma com’è possibile che io sia di nuovo qui? Com’è che ho scelto un’altra volta una persona così?”
Ti eri promessa – forse giurato – che non avresti ripetuto lo stesso errore. Avevi riconosciuto i segnali, avevi imparato la lezione… o almeno così pensavi. E invece eccoti lì, di nuovo, in una relazione che ti svuota invece di riempirti. Una storia in cui le tue energie si esauriscono, il sorriso diventa raro, e ti ritrovi a pesare ogni parola per paura di una reazione, di un silenzio, di un allontanamento.
La verità è che non sei sola.
E, soprattutto, non sei sbagliata.
Quello che vivi non è un segno di debolezza o ingenuità, ma il riflesso di meccanismi profondi che agiscono ben al di sotto della tua consapevolezza.
E non è “colpa” tua… almeno non nel senso in cui lo immagini. Non è una questione di sfortuna, né di essere “condannata” ad attrarre solo persone tossiche. È qualcosa di più sottile, radicato nelle prime mappe affettive che il tuo cuore ha imparato a seguire molto prima che tu sapessi cosa fosse l’amore.
C’è un motivo – anzi, più di uno – per cui scegliamo sempre lo stesso tipo di partner disfunzionale:
Un copione emotivo invisibile che ci guida nelle scelte.
Un’attrazione inconscia verso ciò che ci è familiare, anche quando ci ferisce.
Ferite antiche che cercano, goffamente, di essere risanate proprio nelle situazioni che le riaprono.
La buona notizia? Una volta che inizi a vedere il disegno nascosto dietro le tue scelte, puoi riscrivere la trama.
Puoi smettere di vivere storie in cui dai tutta te stessa per avere le briciole.
Puoi scegliere non solo ciò che ti attrae… ma ciò che ti fa bene.
Non è solo attrazione: è un copione emotivo
Ci piace pensare che scegliamo il partner per ragioni semplici e romantiche: perché ci fa ridere, perché ci piace fisicamente, perché “c’è chimica” al primo sguardo. Ma quella scintilla che sentiamo – quell’energia elettrica che ci fa battere il cuore più forte – raramente è solo questione di compatibilità o bellezza.
Spesso, quella scintilla è l’accensione di un copione emotivo che abbiamo scritto – senza saperlo – nei primi anni della nostra vita. Un copione che racconta come ci avviciniamo, come ci difendiamo, cosa ci aspettiamo dall’amore… e persino quanto dolore siamo disposti a sopportare per sentirci legati a qualcuno.
Come spiegano Amir Levine e Rachel Heller in Attached, ognuno di noi sviluppa uno stile di attaccamento sulla base delle prime relazioni significative, in particolare con le figure di accudimento. Queste esperienze precoci non solo modellano il nostro concetto di “amore”, ma plasmano anche le nostre reazioni emotive e il nostro comportamento da adulti.
Gli stili principali sono tre:
Sicuro – Si sente a proprio agio sia con l’intimità che con l’autonomia. Comunica bisogni ed emozioni senza paura e riesce a fidarsi dell’altro.
Ansioso – Vive con il timore costante dell’abbandono. Ha bisogno di rassicurazioni frequenti e tende a interpretare i silenzi o la distanza come segnali di rifiuto.
Evitante – Teme la troppa vicinanza emotiva. Protegge la propria indipendenza mantenendo una certa distanza, soprattutto nei momenti di vulnerabilità.
Il problema?
Gli ansiosi e gli evitanti si attraggono con la forza di poli opposti di una calamita. È una dinamica che si autoalimenta:
L’ansioso rincorre, teme di perdere l’altro, e moltiplica gesti e parole per avvicinarlo.
L’evitante si sente sotto pressione, teme di perdere la propria libertà e si ritrae.
Più uno rincorre, più l’altro fugge.
Per l’ansioso, il ritiro dell’evitante è un pugno nello stomaco che risveglia paure antiche. Per l’evitante, la richiesta di vicinanza dell’ansioso è come una morsa che toglie il respiro. Eppure, nonostante la fatica e il dolore, questa danza è stranamente familiare.
Perché familiare significa “conosciuto”, e il nostro cervello – soprattutto la parte emotiva – ha un debole per ciò che conosce, anche quando è fonte di sofferenza. È come tornare in una casa che ha muri screpolati e finestre rotte: non è confortevole, ma sai dove sono le stanze, sai come muoverti.
Il risultato è che l’attrazione non è tanto verso chi è la persona, ma verso il ruolo che gioca nella nostra storia emotiva. Ci innamoriamo meno della persona reale e più del copione che ci permette di recitare, di nuovo, la parte che conosciamo meglio.
Cosa puoi fare allora?
1. Riconoscere il tuo stile di attaccamento
(Attached – Levine & Heller)
Rifletti sulle tue esperienze passate e identifica se tendi a essere ansioso, evitante o sicuro.
Se sei ansioso, attraverso un percorso terapeutico puoi imparare a distinguere tra bisogni reali e paure apprese.
Se sei evitante, con la terapia puoi imparare ad esplorare il significato della vulnerabilità e i benefici della vicinanza.
Se sei sicuro, custodisci il tuo equilibrio e usa la tua stabilità per creare relazioni sane.
2. Interrompere gli schemi maladattivi
(Love Me, Don’t Leave Me – Michelle Skeen)
Con l’aiuto di un terapeuta puoi individuare lo schema dominante (abbandono, deprivazione emotiva, sfiducia, sottomissione…) e chiederti:
“Questa reazione è guidata dalla persona che ho davanti… o da qualcun altro che fa parte del mio passato?”
Puoi imparare ad osservare il momento in cui lo schema si attiva, e sceglere di agire in modo diverso dal solito, anche se all’inizio sembra innaturale.
3. Imparare a riparare le disconnessioni
(Stringimi Forte – Sue Johnson)
Nei momenti di conflitto, ricorda che non stai discutendo di un fatto, ma di un bisogno: sentirti visto, accolto, al sicuro.
Comincia ad usa un linguaggio vulnerabile (“Quando non rispondi, mi sento…” invece di “Tu non fai mai…”).
Riconosci il “ballo” di rincorsa e fuga e smetti di seguirne i passi.
4. Scegliere con intenzione, non con automatismo
Il partner che ti fa sentire “le farfalle nello stomaco” potrebbe anche essere quello che attiva il tuo schema più doloroso. Prima di lasciarti trascinare, chiediti:
Mi sento al sicuro con questa persona?
Posso essere me stesso/a senza paura di perdere il legame?
Questa relazione nutre la mia pace interiore o la mia ansia?
Spezzare il ciclo non significa rinunciare all’amore, ma imparare a riconoscerlo nella sua forma più sana: quella che non richiede inseguimenti, silenzi punitivi o lotte per essere visti.
Significa passare da:
“Devo lottare per essere amato/a”
a
“Merito un amore che sia già qui, senza che debba rincorrerlo.”
E questa trasformazione non avviene tutta in una volta: è un allenamento, un atto di coraggio ripetuto ogni volta che scegli ciò che ti fa bene invece di ciò che ti è familiare.
Quando impari a farlo, scopri che la persona giusta non è quella che accende le ferite, ma quella che ti aiuta a guarirle.