📌 Non importa quante volte hai provato a uscirne.
La terapia individuale è lo spazio più intimo e protetto dove possiamo esplorare insieme ciò che c’è sotto la superficie del tuo disagio.
Ansia, senso di colpa, paura dell’abbandono o difficoltà relazionali non sono il problema in sé, ma il segnale di qualcosa che chiede attenzione, cura e consapevolezza.
In questo setting, lavoriamo con delicatezza per:
comprendere le cause profonde che ti tengono intrappolato in una sofferenza così profonda
riattivare risorse che forse hai dimenticato di avere
curare le ferite che sono le cause profonde della tua sofferenza presente
costruire nuove modalità di relazione con te stesso e con gli altri, più mature, libere e autentiche.
Non esistono ricette uguali per tutti: ogni percorso è unico, come la tua storia. Qui non si tratta di diventare qualcun altro, ma di tornare a essere pienamente te, senza più restare intrappolato nei meccanismi che ti fanno soffrire.
La terapia di coppia è uno spazio protetto dove interrompere i soliti schemi — discussioni che si ripetono, silenzi che feriscono, incomprensioni che si accumulano — e iniziare finalmente a capirsi in modo nuovo.
Non è “fare pace” a tutti i costi, né “decidere chi ha ragione”.
È un percorso di consapevolezza reciproca, dove ciascuno dei partner può ritrovare la propria voce, chiarire i propri bisogni, e riscoprire (o ridefinire) il senso della relazione.
In questo lavoro insieme, possiamo:
dare spazio ai conflitti senza colpevolizzazioni,
riconoscere i meccanismi che alimentano la distanza,
migliorare la comunicazione e riconnettervi in modo più sano e autentico,
affrontare momenti di crisi (tradimenti, separazioni, fasi di transizione),
oppure comprendere con rispetto se è il momento di lasciarsi — e farlo senza ferirsi ancora.
📍La coppia può diventare un luogo dove si cresce insieme, non ci si consuma.
La terapia di gruppo è uno spazio di incontro e trasformazione dove non ti sentirai più solo con ciò che vivi.
Ogni storia ascoltata risuona, ogni parola detta diventa ponte.
Nel gruppo impari che il tuo dolore non è unico, che non sei “troppo”, né “sbagliato”, e che la relazione — quando è sana — può diventare un luogo di cura.
In questo percorso guidato, lavoriamo insieme su temi come:
la dipendenza affettiva e le sue dinamiche invisibili, il senso di colpa, il panico da abbandono e la paura di essere se stessi, le relazioni tossiche e il bisogno profondo di sentirsi visti, accolti, amati.
Nel gruppo potrai:
raccontare la tua storia,
con i tuoi tempi e la tua verità, sentirti rispecchiato dagli altri,
apprendere strategie nuove attraverso l’ascolto e l’empatia,
fare esperienza concreta di un legame sicuro e non giudicante.
👉 Vuoi entrare nel prossimo gruppo in partenza?
Dal buio alla luce”
"Quando ho iniziato questo percorso, ero convinta di essere io il problema. Mi sentivo sempre sbagliata, e l’idea di restare sola mi toglieva il respiro. Vivevo appesa agli umori dell’altro, come se la mia vita dipendesse da lui. Durante il cammino ho scoperto che quella non era colpa, ma una ferita antica che potevo curare. Ho imparato a guardarmi con occhi nuovi, a darmi il permesso di esistere senza chiedere autorizzazione. Oggi la solitudine non mi spaventa più: è diventata il mio spazio sacro."
– Serena, 41 anni
“Ho smesso di salvarlo”
"Ho passato anni scegliendo uomini da ‘aggiustare’. Credevo che il mio valore fosse legato alla mia capacità di salvare chi amavo. In realtà, stavo solo evitando di guardare il mio vuoto. Questo percorso mi ha insegnato che non devo riempire nessuno per sentirmi intera. Ho imparato a riconoscere i miei bisogni, a rispettarli e a costruire relazioni in cui l’amore non è una lotta, ma un incontro."
– Claudia, 36 anni
“Il primo sì a me stessa”
"Non dimenticherò mai la prima volta che ho detto ‘no’ a una richiesta che mi avrebbe ferita. È stato il mio primo vero ‘sì’ a me stessa. Arrivavo da anni di compromessi, di sorrisi forzati, di silenzi ingoiati per paura di essere abbandonata. Qui ho imparato a restare, ma con me stessa. A dire la mia, a difendere i miei confini. E ho scoperto che le persone giuste restano, anche quando smetti di annullarti per loro."
– Anna, 48 anni
“Ho trasformato la paura in forza”
"Il panico da abbandono era il mio compagno invisibile. Bastava un messaggio non risposto per sentire il cuore impazzire. Nel percorso ho compreso che quella paura era un segnale, non una condanna. L’ho ascoltata, capita e trasformata in forza. Oggi, quando qualcuno si allontana, non corro più a trattenerlo: resto centrata, e scelgo chi mi sceglie davvero."
– Valentina, 33 anni
“Ritrovarmi dopo anni di smarrimento”
"Mi ero perso. Non sapevo più cosa mi piacesse, cosa volessi, chi fossi davvero. La mia vita ruotava tutta intorno all’altra persona. Grazie a questo percorso ho tolto, strato dopo strato, tutte le maschere che indossavo per sentirmi amato. Ho incontrato il mio vero volto. Non è stato facile: a volte ho pianto, altre ho riso come non succedeva da anni. Ma oggi cammino leggero, sapendo che il mio valore non dipende più dallo sguardo di nessuno."
– Francesco, 50 anni
“Ho smesso di avere paura di restare solo”
"Per anni ho accettato relazioni che mi facevano più male che bene, solo per non sentire il vuoto quando finivano. Vivevo nella paura costante che l’altra persona se ne andasse, e per evitarlo rinunciavo a me stesso. In questo percorso ho imparato che la solitudine non è un nemico, ma un’occasione per conoscermi davvero. Ho riscoperto interessi, passioni e parti di me che avevo dimenticato. Ora non cerco più qualcuno per riempire un vuoto, ma per condividere ciò che già sono."
– Marco, 42 anni
Indirizzo studio: Via Saragat 1, scala E San Nicola la strada (CE)
Email: [email protected]
Cell: 3711086307
Ogni volta che in terapia affrontiamo il tema della sessualità con chi soffre di dipendenza affettiva, emergono racconti intensi, colmi di dettagli che raramente vengono condivisi altrove.
Sono storie che parlano di corpi offerti senza reale desiderio, di confini valicati, di rapporti consumati nella speranza di trattenere l’altro.
Ma sono anche storie di assenza: assenza di ascolto, di reciprocità, di piacere autentico.
Chi vive una dipendenza affettiva spesso porta dentro di sé ferite antiche che affondano le radici nell’infanzia. La sessualità, anziché diventare un’esperienza di intimità e scambio, si trasforma in un mezzo di sopravvivenza relazionale, uno strumento per sedare paure profonde e contrastare la minaccia — reale o percepita — dell’abbandono.
Quando il sesso non è un incontro, ma una strategia
Nelle testimonianze delle pazienti, e nella letteratura specialistica, ritroviamo dinamiche ricorrenti che permettono di tracciare alcune grandi categorie:
Sessualità come prestazione
Il corpo viene usato per compiacere l’altro, mettendo da parte il proprio piacere. L’atto sessuale diventa una “performance” per assicurarsi approvazione e permanenza del partner.
Sessualità come strumento di controllo
Il sesso serve per “agganciare” il partner, per alleviare l’angoscia dell’abbandono. Ogni incontro fisico è carico di ansia preventiva: “Se ci uniamo, non mi lascerà”.
Assenza di piacere e reciprocità
Il rapporto sessuale non è uno scambio tra due soggettività, ma un atto a senso unico in cui la persona dipendente si scollega da sé, agendo in automatico.
Idealizzazione tossica
In alcuni casi, l’intensità sessuale diventa un collante che maschera la tossicità della relazione. Si resta insieme nonostante il dolore, aggrappandosi a quell’unica forma di connessione percepita come “vera”.
Dipendenza affettiva: il “senza di te non esisto”
Al cuore della dipendenza affettiva c’è un’idea precisa, potente e autodistruttiva:
“Senza di te non esisto.”
Non è una semplice insicurezza, ma una struttura interna che condiziona l’intera esistenza.
Le ricerche — e l’esperienza clinica — mostrano che in questa condizione la persona:
rinuncia alla propria individualità pur di mantenere il legame;
percepisce l’altro come indispensabile alla propria sopravvivenza emotiva;
è disposta a sacrificare crescita, desideri e persino dignità per non perdere il partner.
Il paradosso è che, spesso, il partner scelto è poco gratificante, a volte persino abusante.
Ma l’angoscia del vuoto è talmente intollerabile da rendere preferibile restare in una relazione tossica piuttosto che affrontare la solitudine.
L’origine: la fame d’amore dell’infanzia
Per comprendere questo meccanismo, bisogna tornare alla storia personale.
Chi soffre di dipendenza affettiva di solito è cresciuto in un contesto familiare in cui il nutrimento affettivo era insufficiente o incoerente.
Non parliamo necessariamente di genitori assenti fisicamente: anche genitori presenti ma emotivamente distanti, o eccessivamente rigidi e moralisti, possono generare in un bambino la sensazione di non essere visto né amato in modo incondizionato.
Quella bambina impara presto che, per essere notata, deve compiacere.
Diventa “brava”, accomodante, pronta a mettere da parte i propri bisogni per soddisfare quelli degli altri.
Questa strategia — che nell’infanzia è un’abilità di sopravvivenza — diventa in età adulta un copione relazionale disfunzionale.
Il corpo invisibile: dalla bambina “trasparente” alla donna che si annulla
Molte pazienti raccontano di essere cresciute come “bambine trasparenti”: mai al centro, sempre ai margini, come wallflower, carta da parati.
In famiglia mancavano carezze, abbracci, sguardi caldi.
Il contatto fisico — fonte primaria di sicurezza nei primi anni di vita — era scarso o assente.
Questa deprivazione lascia due eredità dolorose:
Scarsa consapevolezza corporea – il corpo non viene percepito come “casa sicura”, ma come strumento da mettere al servizio dell’altro.
Incapacità di proteggersi – non avendo imparato da bambina a stabilire confini, da adulta la persona fatica a dire di no, a fermare ciò che la ferisce.
Come scrive Rupi Kaur in The Sun and Her Flowers:
«Come posso dare un consenso consapevole da adulta, se da bambina non mi è mai stato insegnato a proteggermi?»
Quando il corpo diventa un mezzo per trattenere l’altro
In seduta, le parole di alcune pazienti colpiscono per la loro lucidità:
«Nei miei rapporti ero sempre consenziente, ma oggi non sono più così sicura che fosse un consenso reale. Il mio bisogno vero era la vicinanza emotiva.
Non sapendo come chiederla, cercavo ciò che più le assomigliava: il sesso.»
E ancora:
«Ero in grado di sopportare il sopruso, ma non ero in grado di sopportare l’assenza.»
In queste frasi si concentra l’essenza del legame tra sessualità e dipendenza affettiva: il corpo diventa una valuta di scambio. Si offre intimità fisica non per piacere, ma per non perdere il partner.
Il contributo di Charlotte Davis Kasl
Kasl, in Women, Sex, and Addiction, descrive questo meccanismo con parole taglienti:
«Il sesso compulsivo non è desiderio; è un tentativo disperato di sedare la paura della solitudine e di placare la fame di amore.»
Per lei, la guarigione passa dal recupero del potere interiore: imparare a riconoscere i veri desideri, rispettare i propri limiti e considerare la sessualità non come anestetico emotivo, ma come spazio sacro di connessione.
Kelly McDaniel e il concetto di “Mother Hunger”
McDaniel, in Ready to Heal, aggiunge un tassello fondamentale:
alla base delle dipendenze relazionali e sessuali femminili c’è spesso una ferita di attaccamento materno.
Se la madre non ha offerto nutrimento emotivo sicuro e costante, la figlia può sviluppare un vuoto che da adulta tenta di colmare attraverso relazioni simbiotiche.
A questo si sommano norme culturali patriarcali che insegnano alle donne a misurare il proprio valore sulla base dell’approvazione maschile.
Il risultato è una sessualità orientata al bisogno — colmare un vuoto — anziché al desiderio — condividere un piacere.
Le montagne russe emotive: precarietà e sospensione
Chi vive una dipendenza affettiva conosce bene l’alternanza tra picchi e abissi:
momenti di intensa passione seguiti da cadute vertiginose nell’angoscia.
Questa ciclicità diventa quasi familiare, persino “normale”, e la sessualità ne è parte integrante: in certi casi è l’unico momento in cui ci si sente “al sicuro” dall’abbandono, salvo poi precipitare di nuovo.
Dal bisogno al desiderio: verso una sessualità sana
Per uscire da questa dinamica, occorre:
Amare se stessi – riconoscere e rispettare il proprio corpo, anche nelle sue fragilità.
Avere un corpo complice – usare il corpo per esprimere piacere, non per comprare affetto.
Comunicare – dire ciò che si desidera e ciò che non si vuole, abbandonando l’idea che l’altro possa “intuire” tutto.
Come scrive Kasl:
«Guarire significa reclamare la propria storia, onorare il proprio corpo e trasformare la sessualità in un linguaggio di verità.»
Box di approfondimento: Bisogno vs Desiderio
Il confine tra bisogno e desiderio è cruciale per comprendere la sessualità nella dipendenza affettiva.
BISOGNO < > DESIDERIO
Nasce dalla mancanza e dalla paura del vuoto. < > Nasce dalla pienezza e dalla curiosità.
È immediato, compulsivo: “Non posso farne a meno.” < > È scelto, atteso, costruito.
Porta a cercare gratificazione rapida, spesso insoddisfacente. < > Porta a costruire esperienze significative e durature.
È centrato sull’altro come “salvatore”. < >È centrato sull’incontro tra due soggettività.
Es. “Se facciamo sesso, non mi lascerà.” < > Es. “Voglio condividere piacere con te perché lo scelgo.”
💡 Riflessione:
Chiediti: sto cercando il sesso per colmare un’assenza o per esprimere un piacere che già sento vivo in me?
Rispondere onestamente può cambiare il modo in cui ti avvicini all’intimità.
Conclusione: dalla sopravvivenza alla libertà sessuale
Riconoscere e trasformare la sessualità nella dipendenza affettiva non significa rinunciare al sesso, ma restituirgli dignità e verità.
Significa passare dal bisogno al desiderio, dal silenzio alla comunicazione, dalla paura alla scelta.
Come scrive McDaniel:
“Guarire significa creare relazioni in cui la nostra voce, il nostro corpo e il nostro cuore sono liberi di dire sì o no, senza temere di sparire.”
Sezione di Auto-Riflessione Guidata
Questa parte è pensata come un vero e proprio quaderno di lavoro.
Puoi stamparla o rispondere in un diario personale.
Il consiglio è di rispondere senza giudicarti, lasciando fluire ciò che emerge.
1. Ascolto del corpo
Quando sono con il mio partner, in quali momenti il mio corpo si rilassa e in quali si irrigidisce?
Che segnali fisici noto quando provo disagio (respiro corto, muscoli tesi, mani fredde, ecc.)?
Cosa faccio quando il mio corpo mi comunica che non vorrebbe continuare?
2. Confini e protezione
Scrivi tre situazioni recenti in cui hai detto sì pur volendo dire no.
Cosa temevi potesse accadere se ti fossi rifiutata?
Come potresti esprimere il tuo rifiuto in modo fermo ma rispettoso?
3. Bisogno vs Desiderio
Ripensa all’ultimo incontro sessuale: è nato da un bisogno o da un desiderio? Perché?
Quando agisco dal bisogno, cosa sto cercando di evitare?
Come posso alimentare il desiderio nella mia vita sessuale?
4. Storia personale
Da bambina, come veniva espresso l’affetto nella mia famiglia?
Ho ricevuto contatto fisico, abbracci, carezze, senza dover “guadagnare” quell’amore?
In che modo il mio passato influenza oggi la mia disponibilità o il mio rifiuto sessuale?
5. Risorse interne
Scrivi tre qualità che ti rendono una persona degna di amore, al di là del tuo corpo e della sessualità.
Quali attività ti fanno sentire viva e completa anche senza il partner?
Come puoi coltivare ogni giorno il rapporto con te stessa?
6. Impegno per il futuro
Scrivi un’affermazione che rappresenti il tuo impegno verso una sessualità più sana.
Esempi:
“Scelgo di ascoltare il mio corpo prima di decidere se entrare in intimità.”
“Posso dire no senza perdere il mio valore.”
“Il mio corpo è mio e merita rispetto.”
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